AGRICOLTURA BIOLOGICA – Il Coronavirus, ha cambiato e continuerà a cambiare il mondo in tutte le sue sfaccettature. L’emergenza sanitaria ha sconvolto il XXI secolo e ci ha costretti a guardare in faccia la realtà. In questi mesi sono emerse tutte le contraddizioni del mondo che avevamo creato. Da un giorno all’altro ci siamo resi conto che, la coperta era ed è troppo corta ma non è troppo tardi per ritornare sui propri passi.
La vita post virus, dovrà essere all’insegna del progresso e delle nuove tecnologia. Quello che però bisognerà cambiare, sarà il modo nel quale ci relazioniamo all’evolversi delle tecnologie. A volte, bisogna fare un passo indietro per poterne fare tre in avanti domani. Uno degli esempi lampanti riguarda l’alimentazione. Il processo di metamorfosi, del modo di nutrirsi e di come ogni prodotto arriva sulle nostre tavole è già iniziato da qualche anno. Oggi però c’è bisogno di un’accelerata e per fortuna c’è chi c’era arrivato già qualche anno fa, basti pensare all’Agenda 2030.
Il 2020 per quanto riguarda la biodiversità e l’agricoltura biologica potrebbe essere visto in futuro come uno di quei momenti spartiacque nella storia dell’uomo. Il Covid-19 ha fatto riemergere con ancor più durezza come e quanto, la mano dell’uomo impatti sul nostro sulla Terra.
Secondo i dati dell’IPBES – il panel di ricerca delle Nazioni Unite dedicato alla Biodiversità – tre quarti delle terre emerse sono stati significativamente alterati dall’azione umana. Tra le cause maggiormente impattanti sugli habitat ci sono l’agricoltura e l’allevamento industriali. A livello globale, dal 1970 a oggi, il volume della produzione agricola è aumentato di circa il 300%, ma questo risultato è stato raggiunto senza preoccuparsi del suolo, dell’ambiente, dell’inquinamento e quindi della stessa salute umana.
L’espansione dell’agricoltura industriale, insieme all’allevamento intensivo, è tra i principali motori della distruzione globale delle foreste. Tutto questo per liberare suoli da destinare a colture e pascoli e i ricercatori stimano che il 31% delle malattie infettive emergenti – tra cui HIV-AIDS, Ebola e Zika e con estrema probabilità anche Covid-19 – siano legate alla distruzione, degradazione e frammentazione di foreste e altri habitat naturali, secondo i dati riportati da Greenpeace.
C’è però un modello diverso, un modello che consente di sfamare tutti gli abitanti del pianeta, senza però distruggere il mondo che ci ospita. Stando ad una delle ultime ricerche della FAO, oltre un terzo del cibo prodotto ogni anno per il consumo umano, cioè circa 1,3 miliardi di tonnellate, va perduto o sprecato! Perché allora dovremmo continuare ad utilizzare un sistema che genera in larga parte sprechi e impoverimenti dei territori?
La nascita degli allevamenti intensivi e delle agricolture intensive, aveva lo scopo di rispondere ad una domanda sempre crescente di prodotti animali ed agroalimentari crescente. Se oggi però siamo arrivati a sprecare 1/3 di quello che produciamo mentre si calcola che circa 800 milioni di persone nel mondo soffrano per fame e malnutrizione, vuol dire che il sistema ha fallito nel suo intento iniziale. C’è quindi bisogno di cambiamenti imminenti, ance e soprattutto a livello legislativo.
Il new green deal annunciato di recente dalla Commissione Europea punta a essere sempre di più uno strumento (se usato bene a livello locale, regionale e nazionale) per portare enormi cambiamenti nel nostro sistema alimentare, contribuendo a una veloce diminuzione del consumo di carne e all’assunzione di stili di vita incentrati sul benessere e la qualità della vita. Il tutto garantendo meno sprechi ed uno sfruttamento del territorio e delle risorse a disposizione nel rispetto dell’ambiente.